27 Ott L’aggregazione delle competenze nell’epoca della piena digitalizzazione del processo edilizio: nuove opportunità dalla relazione tra le strutture dell’ingegneria organizzata e gli studi professionali
Abstract
Il settore dei servizi di ingegneria e architettura in Italia si trova oggi in una fase di forte criticità, acuita dalla contrazione del mercato dopo il boom temporaneo generato da PNRR e Bonus Edilizi.
La struttura produttiva nazionale, caratterizzata da micro-realtà frammentate e scarsamente capitalizzate, evidenzia gravi difficoltà nel confronto con i grandi gruppi internazionali, organizzati in strutture multidisciplinari e tecnologicamente avanzate. La polverizzazione delle competenze e la tradizione della libera professione hanno reso complesso il coordinamento progettuale, con effetti negativi su tempi, costi e qualità dei risultati.
In questo contesto, la digitalizzazione rappresenta un’occasione di svolta: l’introduzione del Building Information Modeling (BIM), delle piattaforme di condivisione dati (ACDat/CDE) e delle metodologie di Project Management consente di superare la logica dei “silos” a favore di processi collaborativi e integrati. L’interoperabilità e la centralità del dato aprono a nuove modalità di cooperazione multidisciplinare, riducendo errori e inefficienze, e permettendo anche alle piccole strutture professionali di inserirsi in gruppi di progettazione estesi.
Il ruolo del Project Manager si rivela cruciale per coordinare competenze eterogenee, garantire l’efficacia dei flussi informativi e integrare aspetti tecnici, gestionali ed economici. La diffusione di standard e sistemi di gestione (UNI 11337, UNI/PdR 74, ISO 9001, ISO 21502, ISO 31000) contribuisce a costruire un quadro metodologico condiviso.
Le esperienze applicative dimostrano che l’adozione di strumenti digitali e procedure strutturate riduce i rischi legati alla gestione dell’informazione tecnica e favorisce una nuova cultura della collaborazione.
La prospettiva più promettente risiede nell’evoluzione dei rapporti tra società di ingegneria organizzata e studi professionali: non più semplici relazioni cliente–fornitore, ma partnership capaci di coniugare metodi operativi consolidati e specializzazioni verticali.
In questa logica, la modernizzazione del settore passa attraverso l’interoperabilità coordinata delle persone, aprendo la strada a un modello più inclusivo, efficiente e sostenibile per il futuro dell’edilizia in Italia.
Premessa
Con l’attenuarsi dell’euforia degli ultimi anni nel mercato dei servizi di ingegneria e architettura si torna a porre l’attenzione sulle difficoltà croniche del settore nel nostro Paese già note nel periodo prepandemico.
Il calo dei bandi pubblicati per servizi di ingegneria e architettura del 18,4% nel 2024 rispetto al 2023 segna un’inversione di tendenza dopo la crescita legata al PNRR e ai Bonus Edilizi tornando a rendere critica la situazione nel comparto e in particolare per i liberi professionisti, con ribassi elevati e difficoltà nell’aggiudicarsi gare significative.
Il settore è chiamato a riorganizzarsi per affrontare un futuro incerto. La contrazione appare preoccupante, ma offre l’opportunità di riflettere su approcci più sostenibili per il futuro. La digitalizzazione del processo e le più diffuse tecniche di project management, se opportunamente impiegate, possono offrire nuove opportunità.
In Italia il mondo della progettazione risente di una lunga storia legata alla libera professione che, caso diverso da numerosi altri contesti internazionali, ha contribuito ad una parcellizzazione delle strutture tecniche e conseguentemente delle competenze.
“La debolezza nel nostro settore è accentuata dall’incapacità di mettere ordine nell’ambito delle competenze professionali tra le tante figure afferenti alle attività tecniche della progettazione (architetti, ingegneri, geometri, periti edili, agronomi, a cui vanno aggiunte le nuove figure legate alle lauree triennali). La confusione regolamentare e giurisprudenziale determina sovrapposizione di attività e favorisce la conflittualità e la polverizzazione del nostro campo professionale, determinando un alto tasso di individualismo. Mentre in Inghilterra gli studi/azienda contano mediamente 6,6 addetti per unità, l’Olanda 6,5, la Germania 4,5, la Francia 4,1, la Spagna 2,6, l’Italia arriva a un significativo 1,4 addetto per studio/azienda, superata in senso negativo solo dalla Grecia.
Il risultato è che il fatturato medio italiano per impresa è tra i più bassi in Europa ed è pari a 108.000 euro/anno contro i 274.600/anno della media europea, superato nell’ordine da Danimarca, con euro 1.087.900/anno, Norvegia, Irlanda, Francia, Lussemburgo, Finlandia, Germania, Slovacchia. Nella graduatoria della redditualità individuale l’Italia si attesta al 21° posto. […] I grandi gruppi europei (non parliamo poi delle organizzazioni extraeuropee), e in particolare le grandi società di ingegneria, hanno strutture multidisciplinari e sono diventate dei colossi organizzativi che sembrano appartenere a una dimensione per noi irraggiungibile. […] Risulta molto evidente che nel campo della progettazione il nostro paese ha ancora una dimensione quasi artigianale, con bassa capitalizzazione e insufficiente livello tecnologico”[1].
La recente rilevazione del CNI (Consiglio Nazionale degli Ingegneri)[2] conferma questi dati relativi alla polverizzazione delle strutture di ingegneria nelle loro diverse modalità aggregative (Figura 1).
Figura 1 – Distribuzione ingegneri per tipologia organizzativa (Mascolini et al., 2022, p.23)
Anche il recente Report 2024[3] pubblicato dal prof. Aldo Norsa non sembra evidenziare grandissimi miglioramenti in Italia su questo fronte.
Se da un lato il nostro paese è all’ottavo posto nella classifica mondiale del Prodotto Interno Lordo dopo USA, Cina, Giappone, Germania, Regno Unito, India e Francia, nella suddivisione del mercato internazionale della progettazione del 2023 (ovvero la suddivisione tra le 225 prime organizzazioni di ingegneria al mondo), l’Italia occupa solo l’1,6 % (Figura 2).
Figura 2 – Distribuzione mercato internazionale 2023 delle prime 225 società di ingegneria (Norsa, A., 2024, p.40)
Infatti, le prime tre più grandi organizzazioni mondiali sono la Power Construction Corp. of China (22,27 miliardi di dollari di fatturato nel 2023[4]), la China Energy Engineering Corp. (16,8 miliardi di dollari4) e l’americana Jacobs (12,72 miliardi di dollari), mentre le prime due più grandi società italiane sono Maire Tecnimont (785 milioni di dollari4) e Italferr (427 milioni di dollari). Queste società entrano nella classifica delle prime 150 per fatturato globale rispettivamente al 62° e 108° posto.
In conclusione “il modus operandi disaggregato tipico delle costruzioni penalizza fortemente il settore. Da un lato limita la concretezza della fase di ideazione (nonostante l’introduzione del cosiddetto progetto esecutivo, sono rarissimi i casi di reale ingegnerizzazione del progetto) e dall’altro emargina la produzione dall’innovazione, limitandone il rinnovamento”[5].
Impatto sull’approccio multidisciplinare dell’Ambiente Condivisione dei Dati (ACDat) e del Project Management
Come anticipato nelle premesse, le competenze tecniche nel nostro Paese sono storicamente parcellizzate in numerose piccole strutture. Tipicamente, tali strutture sviluppano contenuti fortemente verticali su temi tecnici specialistici. D’altra parte, la multidisciplinarietà è insita in ogni opera complessa e tale complessità aumenta per tutta una serie di condizioni al contorno del fatto progettuale e costruttivo. Si pensi ad esempio al proliferare di dispositivi legislativi nel campo dei lavori pubblici, ambientale, energetico, urbanistico, edilizio o al continuo incremento/aggiornamento di normative tecniche di prodotto, di disciplina specialistica (sismica, antincendio, impiantistica, ecc.)
Tale incremento di complessità unito alla frammentazione delle competenze ha rappresentato a lungo un problema di difficile risoluzione nel settore delle costruzioni a causa della difficoltà di dialogo e collaborazione fra i professionisti coinvolti. L’insufficiente scambio di informazioni e la mancata condivisione di problematiche con conseguente produzione di varianti ha reso via via più complessa la gestione del progetto nelle sue diverse fasi di sviluppo, determinando notevoli questioni a livello di tempi, costi, esecuzione e qualità complessiva del progetto e dei suoi esiti.
In relazione a tali fondamentali questioni, l’avvento del Building Information Modeling (BIM) e, soprattutto, l’utilizzo di piattaforme ACDat (ambiente di condivisione dati), grazie alla loro logica improntata alla collaborazione e alla possibile organizzazione e gestione dell’enorme numero di informazioni contenute, ha rappresentato un netto salto di qualità rispetto al passato. Salto di qualità a sua volta basato su un approccio che, a prescindere dalla piattaforma software utilizzata, è imperniato sul dato.
Alla base della nuova opportunità di collaborazione multidisciplinare, come già anticipato, è il concetto di interoperabilità, ovvero la capacità di un sistema informatico di scambiare dati e informazioni con altri sistemi o programmi, permettendo un dialogo tra software differenti, anche afferenti a diverse discipline. Oltre alla elevata affidabilità nello scambio di dati, l’interoperabilità permette di ridurre al minimo eventuali errori o perdite di dati.
Ciascun specialista coinvolto nella progettazione può utilizzare le proprie soluzioni software per la sua specifica disciplina senza alcun rischio di incompatibilità o perdita di dati. Ciò consente di gestire autonomamente i relativi aggiornamenti o cambiamenti senza che questo abbia alcun impatto sui propri flussi di lavoro del progetto o nel rapporto con il lavoro degli altri membri. Si realizza quindi l’integrazione dei flussi di lavoro e una conseguente riduzione degli errori determinati da mancanze di coordinamento e aggiornamento oltre che, naturalmente, una completa accessibilità ai contenuti del modello BIM lungo l’intero processo di progettazione e costruzione (ovvero nell’arco di vita dell’opera realizzata).
Il fine è quello di approdare ad una nuova logica sistemica e collaborativa di integrazione effettiva delle competenze. Si tratta di una transizione epocale nella gestione del processo edilizio.
“Questa mancanza di iterazione e interazione ha da sempre un peso significativo sulla ridotta efficienza dei processi e sulla qualità dei prodotti. Considerando questi aspetti problematici, nonché la crescente domanda di ambienti di lavoro più integrati e supportati dalle tecnologie digitali, emerge la necessità di un cambiamento di paradigma, che dovrebbe guidare l’innovazione dei processi nel settore AEC[6] e che potrebbe essere definito come passaggio da processi di progettazione e costruzione sequenziali e basati su modelli “a silos” a processi iterativi e collaborativi. La logica di questo cambiamento di paradigma è più facilmente comprensibile analizzando alcune delle strategie che le società più mature nel digitale stanno già implementando, ossia:
progettazione supportata dall’uso dei dati. Si tratta di considerare il potenziamento dei processi progettuali riconoscendo il ruolo dei dati e passando da un uso dei dati 3D (simulazione tridimensionale come strumento di conoscenza e di valutazione) verso un approccio che potremmo definire D3 ossia “Data-Driven-Design”. Il concetto di D3 indica l’utilizzo dei dati in tutto il ciclo di vita del progetto come input prezioso in relazione alla possibilità di valutare interattivamente, attraverso il trattamento di importanti quantità di dati rilevanti, le alternative di progetto al fine di individuare set di soluzioni misurabili e più soddisfacenti in relazione a molteplici parametri
approccio a rete nella gestione degli stakeholder. Il concetto di rete applicato alla gestione degli stakeholder mira a riconoscere la natura complessa del sistema di relazioni in cui sono incorporate le strutture AEC. L’obiettivo di questo approccio innovativo è migliorare l’efficienza dei processi e la qualità dei prodotti passando dai modelli lineari (chain) alle reti, dalle relazioni alle partnership”[7].
Parte fondamentale dell’approccio multidisciplinare alla base del BIM è l’Ambiente di Condivisione Dati, come già anticipato, denominato ACDat nella norma UNI 11337-5 o CDE – acronimo di Common Data Environment – nelle norme ISO ed esplicitamente citato nel Decreto BIM italiano come piattaforma demandata all’archiviazione, condivisione e gestione dei dati di progetto.
L’Ambiente di Condivisione Dati rappresenta la piattaforma condivisa deputata all’archiviazione, condivisione e gestione dei dati di progetto.
Le specifiche caratteristiche e proprietà dell’ACDat vengono riprese e definite dalla norma unificata di riferimento italiana, la citata UNI 11337-5, che nel qualificare l’Ambiente di Condivisione Dati come il contenitore delle informazioni relative all’opera, ne elenca nel dettaglio le caratteristiche in termini di:
- accessibilità, nei limiti propri dei diversi ruoli e figure coinvolte all’interno del processo;
- tracciabilità dei flussi informativi relativi al progetto;
- supporto delle diverse tipologie e formati di dati e relativa elaborazione;
- recupero di specifiche informazioni tramite query;
- archiviazione e aggiornamento dei dati;
- specifiche di sicurezza e riservatezza dei dati.
In tale ambiente virtuale, dati e modelli, oltre alle informazioni rilevanti per il progetto, sono depositati, elaborati e revisionati, condivisi e pubblicati, in modo che il flusso delle operazioni risulti sincronizzato secondo regole predefinite.
Queste ultime sono un aspetto fondamentale del processo, in quanto tracciano le modalità operative che i partecipanti al progetto concordano di seguire facendo riferimento anche ai requisiti e agli obiettivi espressi dal Committente.
Le attività di coordinamento multidisciplinare nell’ambito di progetti, anche di dimensione modesta o mediamente rilevante, risultano comunque di una certa complessità, stante il numero elevato di soggetti coinvolti e la notevole eterogeneità delle competenze messe in campo.
Si tratta di un tema già noto nella gestione del complesso ed articolato processo edilizio. Vengono quindi in supporto le tecniche di project management e in particolare la diffusione crescente della figura del Project Manager.
Quando si parla di Project Manager ci si riferisce al responsabile del coordinamento e della integrazione di tutte le attività necessarie per il raggiungimento degli obiettivi del progetto stesso; si tratta quindi di un ruolo ben diverso dal progettista. Il responsabile del Progetto deve avere conoscenze / competenze non solo tecniche ma anche soprattutto economico / gestionali nonché quell’insieme di conoscenze e abilità che sono solitamente indicate come soft skill (leadership, negoziazione, comunicazione, problem solving, ecc.).[8]
Nel nostro Paese, come già evidenziato nei dati proposti all’inizio di questo articolo, il settore delle costruzioni risulta generalmente di piccole dimensioni ed ancora compartimentato nella specificità di fasi ed attori.
L’approccio digitale dovrebbe necessariamente essere affrontato mediante metodi e processi multidisciplinari, argomenti tradizionalmente poco affrontati nel nostro paese, anche condizionato da un certo individualismo tipico dell’approccio alla libera professione[9].
Nelle fasi del progetto, nelle quali ormai si sta diffondendo il pieno ricorso agli strumenti della digitalizzazione e coordinamento, lo sviluppo del processo di riconversione dei ruoli da parte degli operatori negli ambiti della progettazione sembra in effetti attuarsi.
In Italia gli studi progettuali, diffusamente organizzati in forma di microaziende, rispecchiano le stesse criticità rinvenibili nell’intero processo e riconducibili, soprattutto, alla frammentazione dei singoli operatori, che intervengono con la loro specialità in modo puntuale e, solitamente, non integrato all’insieme.
Tuttavia, la crescente applicazione nella pratica professionale delle organizzazioni dell’ingegneria organizzata[10] dei concetti di sistema di gestione[11], project management[12] e gestione del rischio[13] (riferimenti in ampia evidenza in ambito internazionale) sta diffondendo una certa cultura organizzativa al settore.
Si aggiunge a questi noti riferimenti anche la norma UNI/PdR 74 del 2019 “Sistema di Gestione BIM – Requisiti”, la quale definisce di requisiti di un sistema di Gestione BIM (SGBIM) che una organizzazione deve attuare per migliorare l’efficienza del processo di programmazione, progettazione, produzione esercizio ed eventuale dismissione dell’opera. Il documento è predisposto in coerenza con la più diffusa UNI EN ISO 9001 in modo che ne risulti agevole l’integrazione all’interno di un sistema di gestione integrato.
Nonostante tale schema di certificazione meglio rispecchi, per sua stessa natura, l’approccio digitale multidisciplinare integrato, i recenti bandi di evidenza pubblica sembrano favorire nel meccanismo di attribuzione del punteggio premiale le certificazioni delle competenze dei singoli[14].
In ogni caso, le organizzazioni da un lato sviluppano sistemi di gestione e metodiche di sviluppo dei processi, dall’altro coinvolgono i singoli specialisti all’interno di questi processi formando all’utilizzo di strumenti operativi.
Tra questi l’utilizzo di uno strumento ACDat risulta forse il più utile ed efficiente.
I singoli professionisti specialisti che intervengono nella progettazione possono più agevolmente essere coinvolti nel processo strutturato.
Conclusioni
Al di là delle considerazioni esposte, l’applicazione di procedure conformi ai riferimenti tecnici disponibili quali la norma UNI 11337 e la diffusione delle tecniche di project management assumono una efficacia notevole soprattutto ai fini organizzativi di una commessa di progettazione e direzione lavori.
La possibilità, infatti, di condividere in forma esplicita e strutturata la rilevante mole informativa tipicamente associata al processo edilizio, come emerge nitidamente nei casi sviluppati in Contec Ingegneria, attenua radicalmente il rischio connesso alla scarsa affidabilità di utilizzo e diffusione dei dati. Al contempo, lo strumento facilmente condivisibile agli attori convenuti nel processo (committenti, teams specialistici, coordinatori, project manager, direttore lavori) consente una relativamente semplice inclusione mediante specifici e limitati contributi formativi.
Nelle commesse sviluppate in Contec Ingegneria, superando i primi momenti di diffidenza, gli operatori esterni coinvolti sono in breve tempo entrati in sintonia con l’utilizzo dello strumento.
L’esito è quello di interoperare nella struttura informativa limitando al minimo il rischio di attingere ad informazioni non aggiornate o non più valide.
Ma il beneficio più ampio si ottiene consentendo a strutture professionali di piccola o piccolissima dimensione di poter fare parte integrante di un gruppo di progettazione esteso.
Pertanto, le tecniche di Project Management da un lato e l’approccio BIM e ancor più l’adozione di una piattaforma per la condivisione dei dati (ACDat) dall’altro, sembrano consentire l’aggregazione delle competenze di cui il settore ha decisamente bisogno.
Il processo aggregativo va evidentemente sostenuto con un approccio da parte delle organizzazioni che vada oltre la relazione cliente – fornitore (spesso inopportunamente generativa di implicazioni aberranti come il c.d. “pagamento passante”…), ma che si orienti più proficuamente verso una relazione di partnership nella quale da un lato l’organizzazione più strutturata condivida e metta a disposizione metodi operativi e il professionista (lo studio professionale) metta a disposizione la volontà di aderire proattivamente al processo con le proprie competenze specialistiche.
Verificata la sostenibilità economica della relazione, l’esito atteso è il beneficio comune e in una prospettiva positiva per il futuro: l’interoperabilità coordinata delle persone come via per la modernizzazione e l’inclusione professionale.
[1] Schiattarella, A. (2011, Gennaio 21). Il paese degli Architetti. Il Giornale dell’Architettura, 90.
[2] Mascolini, A., Antinori, L., Giordani, A., & Fietta, F. (2022). Il mercato visto dall’interno. L’Ingegnere Italiano, 381, 18-23.
[3] Norsa, A., (2024). Report 2024 on the Italian Architecture, Engineering and Construction Industry. Guamari, Milano.
[4] Attività di EPC, Engineering, Procurement, Construction.
[5] Gottfried, A., & Di Giuda, G.M. (2011). Ergotecnica Edile. Esculapio, Bologna.
[6] Architecture, Engineering & Construction.
[7] Bonanoni, M., Talamo, C., & Paganin, G. (2019). La trasformazione digitale del settore AEC: innovazione di processi e modelli organizzativi. In La produzione del progetto. Lauria, M., Mussinelli, E., Tucci, F. (curatori). Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna (RN).
[8] Mastrofini, E. (2024). Guida alle conoscenze di gestione progetti. Griglia di riferimento per i responsabili di progetto e per gli altri ruoli professionali di project management. Franco Angeli, Milano.
[9] Cfr. V Osservatorio CNAPPC con Cresme, 2016: i circa 70 mila studi di architettura nel nostro Paese impiegano in media quattro addetti; 1,5 soci, un dipendente non architetto; 0,2 dipendenti architetti e 1,4 collaboratori con partita Iva.
[10] Si intendono qui le organizzazioni di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica, comunemente dette “società di ingegneria” o di “consulting engineering” – che forniscono a terzi, in modo imprenditoriale, servizi tecnici professionali relativi ad investimenti per impianti industriali, infrastrutture ed opere di ingegneria in genere (OICE)
[11] Cfr. norma UNI EN ISO 9001 Sistemi di gestione per la qualità.
[12] Cfr. norma UNI ISO 21502 Gestione dei progetti, dei programmi e del portfolio – Guida alla gestione dei progetti (project management).
[13] Cfr. norma UNI ISO 31000 Gestione del rischio – Linee guida.
[14] Secondo norma UNI 11337 – Parte 7: Requisiti di conoscenza, abilità e competenza delle figure coinvolte nella gestione e nella modellazione informativa.