BIM – Building Information Modeling: i princìpi di una rivoluzione

BIM, Building – Information – Modeling[1]. Queste tre lettere sono da qualche tempo sulla bocca di molti, per lo meno di molti di coloro che a vario titolo hanno degli interessi nel settore delle costruzioni.
Questo contributo cerca di fissare alcuni concetti ritenuti chiave per approcciare nella maniera corretta il cambiamento che il BIM impone di intraprendere. Concetti, questi, utili anche a convincersi che tale cambiamento non è solo necessario (o in taluni casi obbligatorio), ma anche positivo.

Torniamo al principio, alle tre parole: Building Information Modelling; volendo dare una traduzione in italiano potremmo provare con ‘Modellazione Informativa dell’Edificio’. Il caso ci viene incontro nel comprendere quale sia il concetto che sta al centro di questa espressione ormai inflazionata: sia nella versione inglese che in quella italiana, infatti, al centro troviamo un elemento comune, l’informazione. Ed è proprio sull’informazione che si gioca la partita nel definire cosa è BIM e cosa no.
Nella sua accezione più generale il BIM è una metodologia di lavoro che attraverso una rappresentazione virtuale (Modelling) dell’edificio (Building) ne comunica le informazioni (Information). Nello specifico, il risultato del BIM è un database informativo impostato su un modello digitale tridimensionale[2] dell’edificio, inteso eventualmente anche come infrastruttura.
Relativamente all’aspetto prettamente geometrico, gli oggetti del modello, quali ad esempio travi, porte o parti di sistemi MEP, sono rappresentati ad un livello di dettaglio che è funzione dell’uso che si vuol fare del modello stesso. In altre parole, nel caso il fine sia, ad esempio, la fabbricazione degli elementi sulla base del modello, gli oggetti dovranno essere modellati al massimo livello di dettaglio geometrico.
Analogamente gli oggetti sono corredati di un patrimonio informativo non geometrico. Tali informazioni possono essere di natura prestazionale, possono essere legate all’aspetto manutentivo, a quello della stima dei costi o ad altri aspetti, ma dipendono comunque dall’obbiettivo che si intende perseguire.
Ma non è solo la presenza dell’informazione a fare la differenza. La differenza la fa soprattutto la maniera in cui l’informazione viene gestita nel corso del processo. Quello che si fa con il BIM è quindi mettere in atto un processo che coinvolge l’intero ciclo di vita dell’opera, in cui l’informazione raccolta e prodotta (dalla prima bozza progettuale alla scheda tecnica di prodotto) viene organizzata e classificata in un sistema che la renda accessibile e manipolabile quando necessaria (fig.1). In questo senso il BIM rappresenta pienamente uno strumento per il Project Management.

Fig. 1 – Il BIM mette in atto un sistema di gestione dell’informazione che abbraccia l’intero ciclo di vita dell’opera.

Un lavoro nuovo
Nella pratica tradizionale, la produzione delle informazioni avviene secondo processi non coordinati fra i diversi attori coinvolti. Talvolta anche all’interno dello stesso team questo coordinamento/integrazione non avviene e le stesse informazioni vengono elaborate più volte per propositi diversi.
Il BIM, nel suo essere nuova metodologia di lavoro, rivoluziona la pratica tradizionale. Gli obbiettivi che si vogliono raggiungere con il progetto rappresentano il faro dell’intero processo edilizio e su di essi metodi e procedure devono plasmarsi. Il committente deve essere pertanto in grado di esprimere le sue esigenze in maniera chiara; i professionisti sono chiamati a definire un processo condiviso secondo il quale queste esigenze vengono soddisfatte; la collaborazione fra gli attori prende il posto della segregazione delle conoscenze.
Spesso si paragona il passaggio CAD-to-BIM[3] a quello tecnigrafo-to-CAD, ma quello di oggi è un cambiamento ancor più profondo. In passato infatti la trasformazione dei processi è stata una trasformazione perlopiù tecnologica, dal disegnare a mano si è passati al disegnare “a mouse”. Oggi invece, accanto alle decine di nuovi strumenti software che si affacciano sul mercato e a cui giocoforza bisogna adattarsi, si pone il problema di cambiare l’approccio al progetto, il processo secondo cui le attività vengono svolte.
Insomma, ancor prima di adottare nuovi strumenti software e schede grafiche più potenti, si tratta di dotarsi di una sorta di BIM state of mind, basato su concetti quali collaborazione, coordinamento, condivisione e confronto.
La definizione chiara degli obbiettivi da raggiungersi attraverso il BIM, i cosiddetti BIM Uses[4], dei conseguenti livelli di sviluppo informativo degli oggetti e l’utilizzo di sistemi e procedure di scambio delle informazioni improntati all’interoperabilità fra i diversi software (openBIM – IFC[5]) sono alcuni degli elementi basilari per l’implementazione del BIM.

Tutte queste attività preliminari che potremmo considerare come il progetto del progetto, traducono in pratica quello che la curva di MacLeamy[6] aveva sottolineato già nel lontano 2004. Un approccio integrato, e quindi innovativo, al processo edilizio richiede di spostare il massimo impiego di energie e risorse verso le fasi iniziali del processo, dove la capacità di adattarsi alle esigenze progettuali è massima e i costi delle varianti sono minimi. L’adozione della metodologia BIM impone di affrontare il progetto in questo modo.

Fig. 2 – La curva di MacLeamy

“Il BIM nel mio piccolo…”
Fino a qui si è inteso il BIM nel suo significato più pieno, ossia nell’applicazione della metodologia all’intero processo edilizio, sia dal punto di vista temporale che dei protagonisti coinvolti. Ogni attore, nel rispettivo stage di progetto, contribuisce alla creazione del modello informativo.
Con uno sguardo più ristretto consideriamo l’implementazione del BIM da parte del singolo attore del processo, quello che scegliamo di identificare nell’espressione “intra-BIM”. Anche questa declinazione circoscritta del tema ci permette di osservare come la curva di MacLeamy mantenga la sua validità e come sia richiesto un cambio di rotta rispetto al fare tradizionale.

Fig. 2 – fonte: Shoegnome Architechts, Seattle, Washington (USA)

Il grafico (fig. 2) mette a confronto la pratica consueta basata su CAD con il processo innovativo impostato sulla metodologia BIM, valutandone i costi temporali in funzione degli aspetti progettuali in fase di design. In breve, il BIM richiede un forte investimento di tempo iniziale per pianificare l’attività di modellazione e rendere il processo interno il più fluido e continuo possibile, cercando di ottimizzare l’uso dell’informazione ricevuta e prodotta in funzione delle proprie responsabilità progettuali.
A fronte di questo extra-costo iniziale però, i dati della ricerca proposta mostrano una riduzione del tempo totale pari ad una percentuale compresa fra il 50 e l’80% rispetto all’approccio CAD-based.
Sebbene tali dati restino opinabili dal punto di vista quantitativo[7], non può essere smentito il contributo centrale di questa ricerca: la necessità di affrontare un progetto BIM partendo da una fase preliminare di pianificazione ed organizzazione ed i risultati drammatici del farsi prendere dal “PANIC!” in corso d’opera.

Perché proprio il BIM?
Ad oggi però il mondo delle costruzioni in molti casi è ancora al punto di chiedersi: perché cambiare?
La risposta a questa domanda ci viene fornita dal confronto fra la produttività dell’industria delle costruzioni in due economie estremamente rilevanti nel panorama mondiale, quella americana e quella inglese, e gli altri settori produttivi (figg. 3,4). Come è possibile notare[8], mentre negli altri settori la produttività è in continuo aumento, nel caso delle costruzioni la tendenza mostra una situazione sostanzialmente statica. La ragione di questa differenza risiede nelle peculiarità tipiche dell’industria delle costruzioni: il fatto che produca oggetti unici, che sia basata sulla competitività piuttosto che sulla collaborazione, che non abbia messo appunto un sistema integrato di gestione delle informazioni, che sia soggetta a forti ciclicità e che si innesti su un tessuto professionale fatto di molte microimprese[9].

Fig. 3 – fonte: Office for National Statistics (ONS)

Fig. 4 – fonte: US Dept. of Commerce, Bureau of Labor Statistics

Assodato il problema di fondo ed individuate le ragioni di esso, è possibile trovare nel BIM una soluzione ad alcune di queste, in particolare all’assenza di collaborazione e di utilizzo “intelligente” delle informazioni. In ambito internazionale i progetti reali in cui il BIM, a livelli diversi, trova applicazione non fanno più notizia da un po’, mentre sono sempre di più gli studi e le imprese italiane che affrontano tale metodologia specialmente su commesse al di fuori del confine nazionale. Inoltre le statistiche presentate nel National BIM Report 2016[10] e nell’International BIM Report 2016[11] ci dicono che i professionisti guardano con fiducia al BIM come strumento in grado di offrire soluzioni e che comunque costituirà la normalità nel prossimo futuro.

Proprio in questi mesi sono state pubblicate alcune parti della norma UNI 11337[12], la norma che disciplinerà l’adozione del BIM in Italia, ed altre sono in via di pubblicazione. Nel frattempo siamo sempre in attesa del Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti preannunciato dal Nuovo Codice Appalti (D. Lgs 50/2016), che dovrà definire tempi e modi della progressiva obbligatorietà nell’introduzione del BIM per i progetti pubblici[13]. Vedremo se il ritardo che l’Italia soffre nei confronti di altri Paesi europei ed extra-europei verrà colmato dall’introduzione di norme tecniche e decreti ministeriali, e se un’adozione forzata in ambito pubblico porterà anche la committenza privata ad investire sempre più in progetti BIM.

Link utili:

Eastman, P. Teicholz, R. Sacks, and K. Liston, BIM Handbook: A Guide to Building Information Modelling for Owner, Managers, Designers, Engineers, and Contractors, John Wiley and Sons, Inc., New Jersey, 2008 (trad. it. a cura di G. M. Di Giuda, V. Villa, il BIM, guida completa al Building Information Modeling per committenti, architetti, ingegneri, gestori immobiliari e imprese, Hoepli, Milano, 2016).

Note:

[1] L’idea alla base del BIM fu proposta per la prima volta da Douglas Carl Englebart, tra le altre cose inventore del mouse, all’interno del suo articolo Augmenting Human Intellect del 1962:
“the architect next begins to enter a series of specifications and data–a six-inch slab floor, twelve-inch concrete walls eight feet high within the excavation, and so on. When he has finished, the revised scene appears on the screen. A structure is taking shape. He examines it, adjusts it… These lists grow into an evermore-detailed, interlinked structure, which represents the maturing thought behind the actual design.”
L’acronimo “BIM” è stato invece coniato dal professor Chuck Eastman del Georgia Institute of Technology, che lo utilizzò nelle sue pubblicazioni già dalla fine degli anni ’70.
[2] Talvolta vedrete BIM “tradotto” come Building Information Model, riferendosi al risultato digitale della metodologia di lavoro (il modello appunto), piuttosto che alla metodologia in sé. Questa ambiguità è probabilmente alla base dell’associazione spontanea fra BIM e modello/software in cui si spesso si tende a cadere. In realtà la presenza di un modello informativo tridimensionale è una condizione necessaria, ma non sufficiente per fare di un processo un processo BIM.
[3] A livello tecnologico, il primo passo di questa trasformazione è stato il rilascio sul mercato da parte dell’aziende ungherese Graphisoft del primo software di modellazione ad oggetti, ArchiCAD, nel 1987.
[4] In letteratura sono disponibili diversi contributi sul tema dei BIM Uses (spesso anche indicati come BIM Goals). Fra questi si consiglia il documento edito dalla Pennsylvania State University, scaricabile all’indirizzo www.bim.psu.edu/Uses/the_uses_of_BIM.pdf
[5] IFC (Industry Foundation Classes, ISO 16739:2013) è un formato di dati aperto (non proprietario) ed interoperabile che attualmente rappresenta lo strumento più utilizzato per garantire la trasmissione delle informazioni nel settore delle costruzioni fra attori che tipicamente utilizzano soluzioni software diverse (open-BIM).

[6] La curva prende il nome dal suo ideatore, Patrick MacLeamy, architetto americano presidente ed ex amministratore delegato di HOK (www.hok.com/).
[7] Sono funzione del livello di abilità dell’attore considerato; fanno riferimento alla sola figura dell’architetto; considerano sono gli effetti sulla variabile “tempo” e non sulla variabile “qualità”.
[8] I dati proposti dai grafici non sono recentissimi, ma sono comunque importanti in quanto segnalano un trend che è conseguenza del fare tradizionale e che spesso coincide con la pratica attuale.
[9]www.cresme.it/it/articoli/23/le-resistenze-delle-costruzioni-allaumento-della-produttivita-e-allinnovazione.aspx#
[10] Ricerca effettuata da NBS (National Building Specification) sullo stato dell’arte dell’adozione/consapevolezza del BIM nel panorama britannico: www.thenbs.com/knowledge/national-bim-report-2016
[11] Ricerca effettuata da NBS (National Building Specification) sullo stato dell’arte dell’adozione/consapevolezza del BIM nel panorama internazionale: www.thenbs.com/knowledge/nbs-international-bim-report-2016

[12] La norma in questione è stata sviluppata dal gruppo di lavoro UNI/CT033-GL05 – Codificazione dei prodotti e processi in edilizia, ed è intitolata: Edilizia e opere di ingegneria civile – Gestione digitale dei processi informativi. Le parti pubblicate sono:
– parte 1: Modelli, elaborati e oggetti informativi per prodotti e processi;
– parte 4: Evoluzione e sviluppo informativo di modelli, elaborati e oggetti;
– parte 5: Flussi informativi nei processi digitalizzati.
[13] A tal proposito, il Sole24Ore in un articolo comparso il 17 gennaio 2017, anticipa le modalità di introduzione della metodologia BIM che il Governo intende attuare. Il primo obbligo partirà nel 2019, ma solo per le opere sopra i 100 milioni. Ci saranno poi scadenze progressive, con il sistema a pieno regime nel 2022. Infine sarà prevista una corsia preferenziale per i lavori semplici che potranno essere sempre effettuati con i metodi tradizionali.